LEGGI FORESTALI VENEZIANE COMUGNE E GASTALDIE
"Quando Consilium erit ita plenu quod..." . Con questo decreto il Consiglio dei Dieci dichiarò, il 15 gennaio 1475, i boschi ed i beni silvo - pastorali comunali, detti anche "Comugne", inalienabili ed indivisibili, vietando, anche nei boschi privati, ogni operazione che potesse rovinarli o trasformarli in prati o pascoli, prescrivendo che nessun bosco poteva essere tagliato prima dell'età di dieci anni senza il benestare dell'autorità forestale. Inoltre vietò di far legna per ricavarne carbone e fu concesso il pascolo al sesto anno, dopo ogni eventuale rimboschimento o taglio.
Queste " Comugne " erano istituite per fini pubblici in forza di una necessità giuridica; infatti la formazione del " demanio necessario " non derivava da atti volontari della pubblica amministrazione, ma in virtù della necessità collettiva della natura stessa di esso. I provvedimenti di limitazione della proprietà terriera privata rappresentavano il " demanio accidentale ", la cui destinazione era ugualmente per fini pubblici.
Queste norme sancivano nel diritto pubblico la disciplina e l'organizzazione complessiva del funzionamento dello Stato della Repubblica veneziana, regolando il particolare ed importante settore del patrimonio forestale.
E' importante notare, come si può rilevare dall'ordinanza del 28 novembre 1601, in materia di "Roveri ", che, decretando l'eccelso Consiglio dei Dieci l'obbligo e la costruzione di fossi, internamente nei boschi privati, per prevenire gli incendi e per facilitare lo scorrimento delle acque, non abbia previsto indennizzi ne contributi per le opere molto onerose.
Stabilì invece pene esemplari. " ... di cavar fossi di dentro di essi Boschi, e tenerli rimondati, accioché l'Acque possano scolar liberamente, e non apport'ar a quelli (boschi) alcun danno, e non lo facendo, vi sia rimediato a suoi danni, e interessi, con altrettanta pena più di quello che potesse andar di spesa " (1).
Fu così che il Consiglio dei Dieci riparò ai danni causati da molteplici fattori ai boschi di rovere che si estendevano copiosi nei territorio della Repubblica.
Come si arrivò a questo decreto catenaccio? Nel 697 i boschi di Venezia erano divisi in Coronali e Comunali, i primi alle dipendenze dirette del Doge, gli altri affittati o lasciati in usufrutto alle Gastaldie (2), le quali dovevano coltivarli a. bosco, ricostituendo i vuoti e riservando una quantità stabilita di legname per la casa Ducale.
Nel 725 cominciò la prima fase della politica forestale veneta, che fu però fino al XIV secolo molto primitiva e basata su principi elastici. Determinava e limitava però questa politica forestale il principio fondamentale di uno Stato che non era di diritto, ma costituito da una particolare classe sociale, cioè l'aristocrazia.
Soltanto con l'evoluzione storica sociale e l'annessione alla repubblica, da parte dell'imperatore Bizantino, in cambio di Ravenna, di tutto il retroterra fino all'Adige, le conquiste dell'Istria e della Dalmazia nel 1150 e del Padovano nel 1405, del Friuli nel 1420, territori ricchi di querceti, la Carnia, il Bellunese ed il Cadore, con le loro immense selve di conifere e di faggio, ed infine, nel 1482, tutto il Polesine, allora fornitissimo di boscaglie cedue e di fustaie, si ebbe una vera politica forestale.
Nei primi sette secoli della Repubblica, le grandi necessità di legname per le fondazioni della città, per la costruzione delle principali opere di difesa. lagunare, per la formazione della flotta iniziale, resero quasi impossibile un saggio e regolato sfruttamento delle foreste.
Il conflitto di competenze fra i Rettori delle varie città, il Magistrato delle Vecchie Regioni, l'Ufficio della Giustizia Vecchia, la speciale giurisdizione del Maggior Consiglio e varie piccole tasse rendevano sempre più difficile il rifornimento di legname alla laguna, tanto che fu ai Provveditori dei Comuni, nel 1438, demandato l'incarico di ispezionare ed affittare i boschi, mentre furono creati i Provveditori " sopra le legne " per curarne l'approvvigionamento ed il. dazio.
Ma tali provvedimenti non ebbero i risultati sperati. Vi fu sempre maggiore carestia di legname, ed il Senato formulò allora altri provvedimenti, annullò gli affitti, e permise il taglio libero per tre anni nei boschi, escluso il rovere, riservato alle necessità dell'Arsenale.
Nel 1452 cedette tutti i propri boschi ai rispettivi Comuni, a condizione che fossero goduti dalla comunità e che non venissero ne alienati, ne affittati, ne divisi.
Le conseguenze furono tristissime! La politica liberale decentratrice aveva compromesso seriamente il patrimonio forestale della Repubblica e nel 1453 fu raggiunta la massima carestia di legname.
Al malfatto si riparò con la istituzione del " Provveditore alle legne e boschi ". Questo organismo aveva la più assoluta libertà d'agire; alle dirette dipendenze dell'Ufficio delle Regioni Vecchie, acquistò in poco tempo grandissima influenza per opera dei suoi dirigenti. Soltanto dopo la estenuante guerra con Costantinopoli e soprattutto per il grave incendio all'Arsenale del 1504, il Consiglio dei Dieci abrogò " Il Provveditore alle legne e boschi ', nominando altri Provveditori come semplici esecutori delle proprie deliberazioni.
Interessantissime furono le leggi emanate in quel tempo. Nel 1515, richiamando all'osservanza delle Leggi forestali esistenti, furono stabiliti i turni di taglio con rotazione decennale per i boschi cedui pubblici, settennali per quelli privati, obbligando ai proprietari la denuncia degli eventuali danneggiatori del bosco e nel caso di ignoti, il risarcimento dei danni da parte degli stessi proprietari.
Nel 1530 una legge del Consiglio dei Dieci obbligò i proprietari terrieri a denunciare al "Consiglio sopra le acque" tutti quei terreni disboscati entro i quarant'anni, pena la confisca, prescrivendo contemporaneamente il rimboschimento entro undici mesi e la trasformazione in bosco del 2 % circa di tutti i terreni posseduti, sia da Enti che da privati, ubicati sul margine della laguna ed in zone alluvionali.
La compilazione del Catasto forestale, oltre che. ai beni pubblici, fu estesa a tutto il territorio della repubblica; tale opera fu completata nel 1542, ed in questa occasione il Senato statuì che un terzo dei boschi migliori fossero accatastati e riservati esclusivamente ai bisogni dello Stato. "L'Ufficio del Magistrato sopra le legne ", con due Sopraprovveditori e due Provveditori, riorganizzato nel 1532, ebbe, oltre a mansioni forestali, anche annonario, finanziario e giudiziario.
Importanti sono le attribuzioni ad esso affidate paragonabili alle nostre attuali mansioni amministrative delle Aziende Demaniali.
Per circa sessant'anni creò una vera magistratura forestale che doveva reprimere i gravi abusi di alcuni Comuni e di non pochi privati che, come al solito, ogni severità non era stata sufficiente.
Furono proprio queste difficoltà che resero impossibile una più avveduta politica forestale. Così, nel 1595, il Consiglio dei Dieci tornò nuovamente a richiamare a se la direzione generale di ogni attività forestale, per poi affidarla, nel 1601, al Reggimento dell'Arsenale, quale organismo più interessato e tecnicamente più preparato.
La guerra con la Turchia e la necessità di riempire nuovamente le vuote casse ducali, in condizioni disastrose, distrussero irreparabilmente le verdi montagne del Veneto e specialmente del Bellunese, del Vicentino e del Feltrino. Infatti con la legge 4 giugno 1649 fu stabilita la vendita di tutti i beni superflui ai bisogni dei Comuni.
Negli anni successivi si cercò di riparare al malfatto, ma ormai era troppo tardi. Prossima era però anche la decadenza della grande Repubblica!
Come tutto il passato anche queste leggi forestali di Venezia dimostrano come l'Italia, in questo settore della sua attività, sia stata un tempo maestra e creatrice di una legislazione forestale basata su principi prettamente tecnici conservatori e ben differente da altre consimili legislazioni europee, impostate su principi fiscali.
In sintesi le leggi forestali della Repubblica veneziana formano alcuni capitoli della nostra attuale legislazione forestale; più giustificabili le prime, più anacronistiche le seconde.
Emerge con chiarezza da questi vari provvedimenti legislativi, come la Repubblica veneziana abbia sancito, in modo inequivocabile, la destinazione del patrimonio comune a servire lo Stato come bene finale e non soltanto come bene strumentale.
La inalienabilità di questi beni demaniali e le concessioni amministrative, per le quali i privati pagavano allo Stato un compenso per l'uso del bene e la imprescrittibilità, tanto estensiva quanto acquisitiva, sono oggi, nel nostro ordinamento legislativo, le discipline che regolano l'esistenza, le attività, i rapporti dei singoli cittadini con il patrimonio nazionale.
(1) Codice veneziano - Ordinanza del 28-11-1601- Libreria di Stato - Roma.
(2) Da Gastaldi o Duchi.
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